Tornerò sulle questioni sarde, lo prometto, con la storia delle servitù militari e i danni dell'occupazione degli eserciti italiani e della Nato nella prossima puntata. Oggi, però, ci tenevo a condividere un mio angry rant su una questione di indipendentismo che mi è sempre stata molto molto a cuore, e che nelle ultime settimane ha visto un'escalation senza precedenti, ma che però non è tanto di moda e di conseguenza nessuno ne parla, neanche alla lontana. Ancora di più adesso, con la guerra in Ucraina che monopolizza l'attenzione. Magari, se riesco, ogni tanto posso provare a portare altre storie ispiratrici indipendentiste, tipo sulle battaglie per l'autodeterminazione degli indigeni nelle Americhe e in Oceania.
Comunque, dicevo, mentre tutto il mondo è concentrato sulla guerra di Putin, in Europa un suo piccolo fan e imitatore ne sta approfittando per dare un’accelerata a quel suo progettino di pulizia etnica. Non che avesse tanto bisogno di qualcosa che attirasse l’attenzione altrove eh, perché a nessuno è mai interessato granché di quello che faceva e, soprattutto, nessuno ha mai espresso troppa solidarietà per le sue vittime. Ma in fondo non si sa mai come gira il vento e, in ogni caso, perché farsi sfuggire questa occasione di agire ancora più tranquilli con l’indignazione e la solidarietà mondiali monopolizzate? La risposta è più che facile per
Ilham Aliyev. È il presidentissimo dell’Azerbaijan dal 2003, quando ha ereditato la carica alla morte del defunto padre Hayder, a sua volta capo assoluto dal crollo dell’URSS. La Democrazia con la "d" grande. A pochi importa, ma da quando è iniziata l’offensiva russa in Ucraina sono aumentati, e di tanto, anche i soprusi dell’esercito azero contro le popolazioni civili del
Nagorno Karabakh.
LA STORIA, IN BREVE
Il Nagorno Karabakh: si tratta di una zona montuosa ("nagorno" significa proprio questo) a Ovest dell'Azerbaijan e a Est dell'Armenia, di lingua e cultura armena ma sotto controllo di Baku fino al 1991, quando i karabakhi sfruttando una regola legata alla prossima dissoluzione dell’URSS si sono staccati dagli azeri. Per una legge sovietica una regione, oblast, a statuto speciale come il Nagorno, infatti, poteva scegliere da sola in caso la repubblica di cui faceva parte avesse deciso di lasciare o no l’Unione. Così, quando l’Azerbaijan è uscito dall’URSS, il Karabakh ha deciso di autodeterminarsi creando la Repubblica dell’Artsakh per liberarsi del giogo di Baku. Ne è seguita una guerra durata fino al 1994 tra azeri e indipendentisti, supportati dall’Armenia. Tuttavia, nel vuoto lasciato dall’URSS, anche dopo gli accordi per il cessate il fuoco la regione è rimasta in un precario equilibrio per cui a livello internazionale veniva considerata parte dell’Azerbaijan ma de facto ne era indipendente. Dopo anni (tanti) di schermaglie ai confini, nel 2020 Aliyev ha rotto gli indugi e ha invaso l’Artsakh, senza incontrare nessuna ostilità a livello internazionale. Da Paese alleato della NATO, e anzi con il supporto tattico e sul campo di uno dei membri atlantici più influenti come la Turchia (lo storico nemico degli armeni e responsabile del loro genocidio, che ha sempre negato), e facente parte della politica europea di vicinato aveva “il permesso” di fare un po’ come voleva, senza che arrivassero sanzioni o che nessuno “prendesse a cuore” la causa degli armeni karabakhi. Dopo 45 giorni e la mediazione di Putin (che come sappiamo ci tiene a restare influente nelle ex repubbliche sovietiche, oltre che essere in rapporti di amicizia con Aliyev), la guerra è vinta.

Amicone della NATO, dell'Unione Europea e di Putin, nonostante sia il classico dittatore fasholigarca. Cazzu, il tipo è bravo.
HERE AND NOW
Cosa restava, dunque, ancora da fare all’Azerbaijan vittorioso sul campo militare e negli accordi diplomatici? Il genocidio culturale e la cacciata degli armeni di Artsakh, ovviamente. È così da una settimana Baku ha chiuso le forniture di gas ed elettricità verso il Nagorno, lasciando i karabakhi senza riscaldamento, acqua calda e condizioni di vita base. In più, l'esercito di Baku impedisce con la forza di riparare le linee, ovviamente distrutte da loro stessi, per i rifornimenti dall’Armenia. A questo si aggiungono gli spari d’artiglieria sui villaggi, le devastazioni dei campi, i morti e le minacce, dei soldati azeri alla popolazione, di sterminio. E poi c’è la distruzione fisica di edifici storici, chiese etc.. che mostrino “retaggio armeno”, in un genocidio culturale condannato di recente anche dal Parlamento europeo. Di questa invasione, degli abusi sui civili e della grave emergenza umanitaria che ne è derivata nessuno ne parla.
Secondo me, la cosa più triste di questa escalation è il proprio il “double standard”, l’ipocrisia, per cui alcune invasioni sono da condannare, altre no, alcune vittime sono da compatire e supportare, altre no, alcuni profughi sono da respingere e sono una minaccia, altri no (la Polonia ha accettato centinaia di migliaia di rifugiati ucraini in pochi giorni, ma le centinaia e basta di siriani e afgani mandati dalla Bielorussia erano insostenibili e, facendo il gioco di Lukashenko, minavano la sopravvivenza dello Stato polacco).
Da sardo indipendentista ho sempre solidarizzato con la causa dell’Artsakh, che soffre da sempre una guerra culturale portata avanti da un invasore. In un certo senso, a livello ideale, ci ho visto qualcosa in comune con quanto fatto alla Sardegna, non con le armi e per questo più subdola ed efficace, con la demonizzazione e lo svilimento della nostra cultura, come detto da civiltà unica almondo ridotta alle pecorelle, e con l'omicidio istituzionale e per legge della lingua sarda. E niente, volevo farvi partecipi anche delle lotte per l'esistenza in Artsakh.
FONTI:
- Agenzia di stampa indipendente in lingua inglese
Zartok Media, nata per informare gli armeni della diaspora all'estero.
- Regista, documentarista e corrispondente da Step'anakert
Mariam Avetisyan
- Articoli da vari media americani raccolti da
AGBU Global, organizzazione culturale armena no profit con sede negli USA
A scanso di equivoci, ci tengo aspecificare che supporto sempre il diritto ad autodeterminarsi di tutti. Dell’Ucraina libera dalla Russia, ma anche della Crimea e del Dombass, dove non c’è mai stato il genocidio millantato dalla propaganda russa, ma lì i nazisti istituzionalizzati del Battaglione Azov hanno commesso crimini e torture documentate, anche se adesso sono dipinti come gli eroi nazionalisti di Mariupol, e mi pare evidente che ci sia un "problema" di identità molto complesso, che va molto oltre la retorica dei buoni buonissimi e dei cattivi cattivissimi degli ultimi tempi.
Totus unidos, totus liberos, totus uguales. E semper e comunque contra sa gherra e le spese militari, che al volo il Governo ha deciso di aumentare. Perché poi? Che tanto le munizioni nemmeno le usano e finiscono per smaltirle nei poligoni sardi o per spararle nello loro esercitazioni, sempre in Sardegna. Bascarammene. Appuntamento alla prossima puntata.