In partenza ci tengo solo a sottolineare che le motivazioni non si trovano nel gusto di creare la nazioncina dell'Endocazzostan e/o per eccezionalismo sardo, ma esistono precise ragioni economiche, politiche, storiche e culturali che purtroppo anche la stragrande maggioranza dei sardi ignora e non conosce. Leggendo questa rubrica, spero, vi chiederete come sia possibile che la popolazione non insorga per fare qualcosa davanti a ingiustizie così clamorose. Io me lo chiedo ogni giorno, e fa male.
Apro questo topic perché ci tengo a spiegare le ragioni, appunto, dell'indipendentismo sardo moderno, e anche perché un po' di tempo fa mi era capitato qui di leggere che Guardiola sia “una specie di leghista” perché supporta la creazione di una Catalogna libera. La “causa sarda” con quella catalana ha poco in comune, ma lo spunto per chiarire poi la situazione sarda è arrivato da quella fesseria.
Dall'analisi delle fonti, interviste e chiaccherate varie con storici e studiosi ho già scritto diversi articoli e varie note sul tema che sono diventati, nel piccolo degli appassionati di storia e lingua sarda, anche piuttosto virali, quindi farò, mano a mano argomento dopo argomento, una piccola sintesi mettendo insieme le varie cose e le fonti con cui, chi volesse, potrà approfondire. Insomma ci tenevo a rompere le palle anche qui sulla questione sarda.
Per non appesantire troppo il tutto andrò a puntate, un crimine di cui non si può credere a danno della Sardegna a dei sardi a episodio. Inoltre, ci tengo moltissimo anche a fare esempi di come la Sardegna venga raccontata male, per stereotipi razzisti e applicando logiche coloniali imperialiste da “orientalismo”. Sto parlando della pratica, teorizzata dallo studioso palestinese-americano Edward Said, con cui gli occidentali, in particolare gli inglesi, hanno raccontato “l'Oriente” in un modo tale da giustificare, appunto, imperialismo e colonialismo e che ancora è presentissima nella letteratura, nei media e nei film (anche famosissimi e di registi “progressisti”, tipo Steven Spielberg in alcune scene degli Indiana Jones, degne del peggior razzismo “orientalist”). Sembra una cosa lontana dalla Sardegna attuale e dell'ultimo secolo, ma vedrete le similitudini quando ci arriverò. Basta indugi, si comincia.
Perché la Sardegna vorrebbe essere indipendente dallo Stato italiano? In fondo mentre altre Regioni come il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna aspirano all’autonomia rafforzata, l’Isola sulla carta gode già di privilegi che queste Regioni non potranno mai avere, nemmeno se dovessero ottenere il massimo dell'autonomia che chiedono. Grazie alla legge costituzionale numero 3 del 26 febbraio 1948 che ne ha concesso uno Statuto la Sardegna è, appunto, una Regione a Statuto speciale: gode di autonomia legislativa esclusiva su alcune materie, come l’urbanistica e il turismo, e per altre, come sanità e assistenza pubblica, può emanare norme per conto proprio, pur seguendo i principi stabiliti dalle leggi dello Stato. Ma la vera differenza sarebbe dovuta essere nelle entrate regionali. Secondo l’articolo 8 dello Statuto, la Sardegna avrebbe diritto, tra le altre cose: ai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, ai nove decimi del gettito delle tasse sul bollo e sul consumo di energia elettrica, ai nove decimi delle entrate riscosse sui prodotti dei monopoli dei tabacchi, ai canoni per le concessioni idroelettriche, ai nove decimi delle imposte di fabbricazione, ai sette decimi di alcune entrate erariali… e la lista continua.

Ma con tutti questi soldi che dovrebbero arrivare, con la quasi totalità delle tasse sarde che dovrebbe restare in Sardegna, cosa vogliono i partiti indipendentisti più di così? L’Isola dovrebbe essere un’oasi felice nel Mediterraneo, bella ricca e tutto. Invece in tutti i suoi rapporti l'ufficio statistico dell'Unione europea piazza la Sardegna sempre almeno tra le 30 regioni europee più povere (sulle circa 300), nel complesso e considerando indicatori specifici, come il reddito, la qualità della vita e i servizi disponibili. Ma com'è possibile? È molto semplice, i soldi in Sardegna non sono mai arrivati. L’Italia, infatti, non ha mai rispettato l’articolo 8, per decenni. La fregatura si trova nell’articolo 9 dello stesso Statuto, secondo cui la Regione “può affidare” (ma nella realtà ha consegnato in toto) agli organi dello Stato l'accertamento e la riscossione dei propri tributi. Dunque l’Italia incassa per conto della Sardegna, ma però ha sempre trattenuto la stragrande totalità delle quote, lasciando all'Isola qualche briciola e la conseguente povertà cronica. Insomma è come se un un artigiano delegasse una persona per andare a riscuotere il pagamento di un lavoro e questo qualcuno sparisse con i soldi lasciando il lavoratore alla fame. Solo che qui stiamo parlando di decine di miliardi di euro, a seconda delle stime una cifra compresa tra gli 80 e i 90 miliardi. Soldi che per diritto e legge costituzionale spettavano ai sardi e che avrebbe fatto comodo, viste le condizioni tragiche in cui versa la nostra isola, adesso e come conseguenza di decenni di mancati introiti dovuti che hanno minato ogni vera possibilità di sviluppo e benessere. Una “mancanza” che deriverebbe dall’assenza di leggi attuative che regolino e che soprattutto specifichino in cifre il trasferimento dei fondi alla Sardegna, e che stranamente non sono mai state fatte.

Non è un'accusa infondata degna delle peggiori teorie del complotto, ma un furto ammesso e riconosciuto dallo stesso Stato, come vedremo. Anche se a livello storico le prime indicazioni di un debito italiano nei confronti dell’Isola risalgono a uno studio della Fondazione Agnelli del 1985, il problema è stato poi denunciato dal poeta sardista Angelo Caria negli anni 90 e portato alla ribalta nel 2004 dal partito indipendentista iRS (Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna). Nel 2006 l'allora presidente della Regione, Renato Soru, ha deciso di portare a Roma la questione. Viene riconosciuto, come avevo anticipato, un debito di circa 10 miliardi, accertabile però (e qui già si inizia a odorare la colassale fregatura che arriverà poi), solo a partire dal 1991. E le altre decine di miliardi, frutto anche del periodo del boom economico, restano “segnate sull'acqua”, traducendo un detto delle mie parti. Comunque secondo la presidenza della Regione Sardegna al tempo, dalla compartecipazione al gettito dei tributi erariali lo Stato non avrebbe pagato, ogni anno, almeno 400 milioni di euro derivati dall’IVA e 500 dall’Irpef (cifre al ribasso). Nasce dunque la “vertenza entrate”: un nefasto accordo tra la Regione e Roma per estinguere almeno una minima parte di questo debito. Soru si è accordato con lo Stato per il pagamento di 5 miliardi di euro, da riscuotere nei 10 anni successivi con circa 500 milioni all’anno. In più, Soru ha ottenuto quote più alte sulle compartecipazioni elencate nell’articolo 8 dello Statuto. Gli accordi sono stati fissati nella Legge Finanziaria 2007. Tutto molto bello, ma la fregatura clamorosa è dietro l'angolo. Il prezzo da pagare, in cambio di una parte per quanto minima di soldi che spettavano di diritto, è però altissimo: con il comma 836 dell’articolo 1 della stessa legge, l’Italia dispone che da quel anno la Sardegna si incarichi del 100% della spesa per la sanità sul territorio regionale, senza alcun apporto a carico del bilancio statale.
È un mazzata che non potete nemmeno quantificare e che ha dato il colpo di grazia a un bilancio regionale fino ad allora claudicante ma tutto sommato stabile, e che dal 2007 è in profondo rosso perché la sanità assorbe quasi tutto e nemmeno funziona. Oltre al danno (enorme) c'è anche la beffa. Lo Stato, infatti, non ha rispettato gli impegni e non ha pagato, motivando ancora con l’assenza delle norme di attuazione in grado di quantificare quanto spetti all’isola. Nel 2016 con la Giunta Pigliaru il Governo ha approvato, il Dl. del 9 giugno 2016, n. 114 con, in teoria, le norme di attuazione dell'articolo 8 dello Statuto. Ma in realtà è l'ennesima beffa, visto che in pratica si tratta solo di un recap delle quote fiscali che spettano alla Sardegna, già presenti nella legge costituzionale (Lo Statuto). Intanto i 500 milioni all'anno del famoso accordo non sono mai arrivati e si continua così ancora adesso sempre per gli stessi motivi. Altro che “abbiamo finalmente risolto la vertenza entrate”, come usava vantarsi Pigliaru.
L'ultimo contentino che l'Italia vuole darci è l'insularità in Costituzione. Il progetto di legge per la modifica dell'articolo 119, a cui si vuole aggiungere che "la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall'insularità", di sicuro supererà tutti i passaggi previsti per la modifica della carta costituzionale. E in concreto, che vantaggi porterà alla Sardegna e ai sardi il riconoscimento dello "svantaggio naturale" derivante dall'essere un'isola? Io non ne vedo e la fiducia nell'Italia non c'è. Perché anche se i promotori sardi del disegno di legge sono mossi da un genuino interesse per il bene della Sardegna e qualsiasi miglioramento, anche minimo, male non farebbe, occorre tenere presente che la Regione Sardegna aveva e ha già tutto il necessario, a livello legale, per superare i problemi legati all'insularità e migliorare. Addirittura questo miracoloso strumento, come abbiamo già visto, ha già la valenza di legge costituzionale ed esiste dal 26 febbraio 1948: è lo stesso Statuto Sardo. Se l'Italia da sempre non ha rispettato e continua a calpestare questa legge, ignorando l'articolo 8 e usando il 9 a proprio vantaggio, cosa potrà mai portare l'aggiunta di un comma, tra l'altro piuttosto generico, a un articolo?

Non ci si può fidare, specie se in contemporanea alle discussioni per il riconoscimento del principio di insularità in Sardegna si chiudono o si depotenziano i reparti degli ospedali, con il San Francesco di Nuoro svuotato, senza medici ( ma mancano proprio gli oggetti, le più semplici cianfrusaglie) e incapace di garantire i servizi base, e altri presidii che sono un punto di riferimento in aree interne, come quelli di Sorgono (a cui sono molto legato) e di tutta l'Ogliastra, lottano per restare anche solo aperti. È questo, oltre auna incompetenza cronica e alla corruzione dei politici sardi legati a Roma, a causa del pegno dato nel 2006 per quelle stesse briciole nemmeno mai arrivate. Il presidente della Commissione regionale per l'Insularità, Michele Cossa, ha definito l'introduzione del principio come "la madre di tutte le battaglie per il futuro della Sardegna". È l'ennesimo insulto. Per me se l'isola vuole avere un futuro deve lasciare perdere chi l'ha impoverita e sfruttata da prima della nascita dell'Italia stessa prendendone in giro i suoi abitanti. Non vogliamo l'ennesimo palliativo chi ci si ritorcerà contro, piuttosto ridateci i miliardi che ci spettano di diritto e per legge costituzionale.
Per approfondire e alcune fonti, si trovano easy i pdf online.
- Carlo Pala, "La Sardegna. Dalla "vertenza entrate" al federalismo fiscale?"
- Paolo Maninchedda, "Slealtà di Stato e di Regione. Due anni di politiche finanziarie in Sardegna"
Alla prossima.