Le tattiche, #2 - Play like an Egyptian: la Piramide
- Nicolasblaze
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Le tattiche, #2 - Play like an Egyptian: la Piramide
#1: L'invenzione del passaggio
Che la parola football venga usata genericamente per individuare sport molto differenti tra di loro non è un mistero e neanche una stranezza. Per via della genesi piuttosto convulsa di quello che noi oggi chiamiamo calcio, dovessimo per un qualche miracolo scientifico trovarci a Glasgow il 30 novembre del 1872 stenteremmo a capire in quale sport si stanno sfidando i ventidue gentiluomini in camicia.
Il campo è l'Hamilton Crescent, nella zona di Partick, che in gaelico si dice Pàrtaig e che è il ponte tra Glasgow e le Highlands. Non a caso, visto che proprio il gaelico caid è l'antesignano di tutti i tipi di football, uno dei tanti scambi culturali tra Irlanda e Scozia. Il match è tra Scozia e Inghilterra, con una particolarità: è la prima sfida internazionale ufficiale della storia del calcio. Le due selezioni si erano già sfidate cinque volte all'Oval di Londra, un campaccio di patate che si usava principalmente per il cricket (ed è tuttora una delle strutture-simbolo di questo sport): due pareggi e tre vittorie inglesi, giacché in quegli anni i maestri non si facevano mettere i piedi in testa.
La superiorità dei giocatori inglesi era chiara a tutti. La selezione dei Tre Leoni schierava, per quella partita di novembre, una buona rappresentanza dell'Association Football di quel periodo - c'era, ad esempio, Charles Clegg che in febbraio aveva sancito la vittoria sugli scozzesi con un gol, ma mancavano le due stelle principali, quel Charles Alcock che nel frattempo era diventato presidente della Football Association (e organizzatore della FA Cup) e il luogotenente colonnello Walker, impegnato com'è chiaro nell'esercito (di lì a poco sarebbe stato fondamentale nelle operazioni inglesi nell'Oceano Indiano) e conteso da diverse squadre di rugby. Anche con queste assenze, comunque, i favori del pronostico erano tutti per l'Inghilterra.
La particolarità della selezione scozzese era che, vuoi per il fatto che pochi a nord del fiume Tweed giocavano a football con le regole inglesi, vuoi per il fatto che molti giocatori semplicemente non potevano venire a Glasgow per quel giorno là, era la formazione del Queen's Park (ancora attivo: è l'unico club di dilettanti nell'ambito della Scottish League). Inferiori dunque se presi singolarmente - per capacità tecniche e soprattutto fisiche: il "dribbling", in quei tempi lontani, era più che altro uno sfondamento fisico, una battaglia in corsa di contrasto in contrasto. Ma con un unico vantaggio ipotizzabile: l'affiatamento.
Già, il dribbling. Il calcio, nel 1872, era uno sport di squadra solo perché erano in molti a scendere in campo. Per tutto il resto si poteva ben considerare uno sport individuale: arrivava la palla tra i piedi di uno degli otto attaccanti, quello correva nella generica direzione della porta, se la palla rimbalzava verso un compagno dopo un contrasto bene, altrimenti gambe in spalla che c'era da contrastare uno degli otto attaccanti avversari. Sembra familiare? Be', è Holly e Benji senza le rovesciate da monaci shaolin.
La "formazione" classica, che per comodità potremmo chiamare "long live the vicar", era per l'appunto un bellissimo 1-1-8. Davanti al portiere semi-fisso (grande novità di quegli anni) un difensore e un "centrocampista" (termine anacronistico a tutti gli effetti), poi otto attaccanti. Il vantaggio consisteva nell'applicazione regola del fuorigioco, che richiedeva tre giocatori tra l'attaccante e la linea di fondo avversaria nel momento della ricezione del pallone (si passerà al "momento di partenza del pallone" un anno dopo).
Di fatto, anche se da cinque anni era permesso il passaggio in avanti, l'idea che il pallone viaggiasse lontano dagli scarpini di un calciatore era considerata non solo eretica, ma pure un po' da froci (sul serio: il dribbling fisico di cui sopra era, secondo gli inglesi, l'unico modo virile di giocare al pallone).
Ma alla Scozia di passare per culattoni importava relativamente: toccava portare a casa la pellaccia. Allora Robert Gardner - portiere, capitano, allenatore e selezionatore degli scozzesi - decide di schierare la squadra in campo in modo lievemente diverso, con un 2-2-6 per l'epoca assolutamente catenacciaro. L'idea è che i giocatori formassero delle coppie - i due difensori, i due half-back, e tre coppie di attaccanti - che si aiutassero a vicenda nelle azioni offensive.
L'innovazione non basta per trovare la prima vittoria contro l'Inghilterra, ma per strappare un sudato 0-0 sì. E nei mesi immediatamente successivi proprio il Queen's Park porta nella FA Cup (semifinale, contro i Wanderers, anche qui uno 0-0) quello che è forse il primo esempio documentato di "combination game", ossia: dribblate e placcatevi, ma se il compagno a cui siete accoppiati è libero spostate la palla nella sua direzione.
Lo stile scozzese era però piuttosto statico: la palla la si riceveva da fermi, per poi scattare verso la porta. Saranno i club inglesi ad evolvere l'idea di passaggio: a cominciare da Cambridge, una manciata di anni dopo.
Nella prossima puntata: play like an Egyptian (la Piramide, il cross e lo stile inglese).
Che la parola football venga usata genericamente per individuare sport molto differenti tra di loro non è un mistero e neanche una stranezza. Per via della genesi piuttosto convulsa di quello che noi oggi chiamiamo calcio, dovessimo per un qualche miracolo scientifico trovarci a Glasgow il 30 novembre del 1872 stenteremmo a capire in quale sport si stanno sfidando i ventidue gentiluomini in camicia.
Il campo è l'Hamilton Crescent, nella zona di Partick, che in gaelico si dice Pàrtaig e che è il ponte tra Glasgow e le Highlands. Non a caso, visto che proprio il gaelico caid è l'antesignano di tutti i tipi di football, uno dei tanti scambi culturali tra Irlanda e Scozia. Il match è tra Scozia e Inghilterra, con una particolarità: è la prima sfida internazionale ufficiale della storia del calcio. Le due selezioni si erano già sfidate cinque volte all'Oval di Londra, un campaccio di patate che si usava principalmente per il cricket (ed è tuttora una delle strutture-simbolo di questo sport): due pareggi e tre vittorie inglesi, giacché in quegli anni i maestri non si facevano mettere i piedi in testa.
La superiorità dei giocatori inglesi era chiara a tutti. La selezione dei Tre Leoni schierava, per quella partita di novembre, una buona rappresentanza dell'Association Football di quel periodo - c'era, ad esempio, Charles Clegg che in febbraio aveva sancito la vittoria sugli scozzesi con un gol, ma mancavano le due stelle principali, quel Charles Alcock che nel frattempo era diventato presidente della Football Association (e organizzatore della FA Cup) e il luogotenente colonnello Walker, impegnato com'è chiaro nell'esercito (di lì a poco sarebbe stato fondamentale nelle operazioni inglesi nell'Oceano Indiano) e conteso da diverse squadre di rugby. Anche con queste assenze, comunque, i favori del pronostico erano tutti per l'Inghilterra.
La particolarità della selezione scozzese era che, vuoi per il fatto che pochi a nord del fiume Tweed giocavano a football con le regole inglesi, vuoi per il fatto che molti giocatori semplicemente non potevano venire a Glasgow per quel giorno là, era la formazione del Queen's Park (ancora attivo: è l'unico club di dilettanti nell'ambito della Scottish League). Inferiori dunque se presi singolarmente - per capacità tecniche e soprattutto fisiche: il "dribbling", in quei tempi lontani, era più che altro uno sfondamento fisico, una battaglia in corsa di contrasto in contrasto. Ma con un unico vantaggio ipotizzabile: l'affiatamento.
Già, il dribbling. Il calcio, nel 1872, era uno sport di squadra solo perché erano in molti a scendere in campo. Per tutto il resto si poteva ben considerare uno sport individuale: arrivava la palla tra i piedi di uno degli otto attaccanti, quello correva nella generica direzione della porta, se la palla rimbalzava verso un compagno dopo un contrasto bene, altrimenti gambe in spalla che c'era da contrastare uno degli otto attaccanti avversari. Sembra familiare? Be', è Holly e Benji senza le rovesciate da monaci shaolin.
La "formazione" classica, che per comodità potremmo chiamare "long live the vicar", era per l'appunto un bellissimo 1-1-8. Davanti al portiere semi-fisso (grande novità di quegli anni) un difensore e un "centrocampista" (termine anacronistico a tutti gli effetti), poi otto attaccanti. Il vantaggio consisteva nell'applicazione regola del fuorigioco, che richiedeva tre giocatori tra l'attaccante e la linea di fondo avversaria nel momento della ricezione del pallone (si passerà al "momento di partenza del pallone" un anno dopo).
Di fatto, anche se da cinque anni era permesso il passaggio in avanti, l'idea che il pallone viaggiasse lontano dagli scarpini di un calciatore era considerata non solo eretica, ma pure un po' da froci (sul serio: il dribbling fisico di cui sopra era, secondo gli inglesi, l'unico modo virile di giocare al pallone).
Ma alla Scozia di passare per culattoni importava relativamente: toccava portare a casa la pellaccia. Allora Robert Gardner - portiere, capitano, allenatore e selezionatore degli scozzesi - decide di schierare la squadra in campo in modo lievemente diverso, con un 2-2-6 per l'epoca assolutamente catenacciaro. L'idea è che i giocatori formassero delle coppie - i due difensori, i due half-back, e tre coppie di attaccanti - che si aiutassero a vicenda nelle azioni offensive.
L'innovazione non basta per trovare la prima vittoria contro l'Inghilterra, ma per strappare un sudato 0-0 sì. E nei mesi immediatamente successivi proprio il Queen's Park porta nella FA Cup (semifinale, contro i Wanderers, anche qui uno 0-0) quello che è forse il primo esempio documentato di "combination game", ossia: dribblate e placcatevi, ma se il compagno a cui siete accoppiati è libero spostate la palla nella sua direzione.
Lo stile scozzese era però piuttosto statico: la palla la si riceveva da fermi, per poi scattare verso la porta. Saranno i club inglesi ad evolvere l'idea di passaggio: a cominciare da Cambridge, una manciata di anni dopo.
Nella prossima puntata: play like an Egyptian (la Piramide, il cross e lo stile inglese).
Ultima modifica di Nicolasblaze il 24/03/2013, 21:41, modificato 2 volte in totale.
- chrisy2j
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Interessantissimo,quindi nonostante tutto sono stati gli scozzesi ad inventare il passaggio,devo ammettere che non lo sapevo e che questo topic è interessante.
Comunque a proposito del Queen's Park,quest'anno sta andando benissimo ma purtroppo si è ritrovato il Rangers appena fallito.
Ripeto interessantissimo studiare le origini di questo grande sport
Comunque a proposito del Queen's Park,quest'anno sta andando benissimo ma purtroppo si è ritrovato il Rangers appena fallito.
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- christian4ever
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
E' vero. All'epoca gli inglesi ritenevo il passaggio "non da veri uomini". E secondo me non è dovuto al fatto che il passing game sia uscito fuori dalla Scozia, più che altro son gli inglesi molto orgogliosi per quanto riguarda il calcio.
Cioè (esco un attimo fuori dal 1870 e faccio un balzo di 40-50 anni, poi mi zittisco
) hanno ritenuto che il W-M fosse la tattica definitiva quando invece in altri paesi (calcio danubiano, sudamericano (sopratutto in Uruguay) ecc.) si continuava ad evolvere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la partita con l'Ungheria ma di segnali l'Inghilterra ne ha avuti (giusto per citare un esempio che mi viene al volo, la tournée della Dinamo Mosca in Inghilterra...è stato un altro segnale della tattica in evoluzione nel mondo).
Questo giusto per dire di come gli inglesi siano orgogliosi (termine usato da loro stessi).
Cioè (esco un attimo fuori dal 1870 e faccio un balzo di 40-50 anni, poi mi zittisco

Questo giusto per dire di come gli inglesi siano orgogliosi (termine usato da loro stessi).
- Nicolasblaze
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Giustissimo. Ad esempio è noto come la nazionale inglese per un non dimostrato senso di superiorità rifiutò di partecipare ai primi tre mondiali, finendo graziosamente umiliati nel 1950.
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
le solite merdine inglesizittino bob ha scritto:E' vero. All'epoca gli inglesi ritenevo il passaggio "non da veri uomini". E secondo me non è dovuto al fatto che il passing game sia uscito fuori dalla Scozia, più che altro son gli inglesi molto orgogliosi per quanto riguarda il calcio.
Cioè (esco un attimo fuori dal 1870 e faccio un balzo di 40-50 anni, poi mi zittisco) hanno ritenuto che il W-M fosse la tattica definitiva quando invece in altri paesi (calcio danubiano, sudamericano (sopratutto in Uruguay) ecc.) si continuava ad evolvere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la partita con l'Ungheria ma di segnali l'Inghilterra ne ha avuti (giusto per citare un esempio che mi viene al volo, la tournée della Dinamo Mosca in Inghilterra...è stato un altro segnale della tattica in evoluzione nel mondo).
Questo giusto per dire di come gli inglesi siano orgogliosi (termine usato da loro stessi).

- zittino bob
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Già, sopratutto la sconfitta con gli USA non l'hanno digerita bene...Nicolasblaze ha scritto:Giustissimo. Ad esempio è noto come la nazionale inglese per un non dimostrato senso di superiorità rifiutò di partecipare ai primi tre mondiali, finendo graziosamente umiliati nel 1950.
http://it.wikipedia.org/wiki/In_campo_per_la_vittoria
C'è da dire anche un altra cosa, qualche inglese sostiene che l'aver vinto il mondiale 66 abbia riportato gli inglesi ad essere presuntuosi come nei primi anni 30, portando il tutto a sfavore della nazionale inglese negli anni successivi. Onestamente, non so quanto possa essere vera una cosa del genere.
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Vinto su misurazittino bob ha scritto:
Già, sopratutto la sconfitta con gli USA non l'hanno digerita bene...
http://it.wikipedia.org/wiki/In_campo_per_la_vittoria
C'è da dire anche un altra cosa, qualche inglese sostiene che l'aver vinto il mondiale 66 abbia riportato gli inglesi ad essere presuntuosi come nei primi anni 30, portando il tutto a sfavore della nazionale inglese negli anni successivi. Onestamente, non so quanto possa essere vera una cosa del genere.

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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Molto bello, interessante e proprio coinvolgente nel leggerlo.
Mi fa piacere scoprire le origini del calcio, cosa che effettivamente mi manca, quindi ti seguo assolutamente.
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Avevo sentito pure di una teoria che diceva che il calcio è nato in grecia, gli inglesi lo hanno importato e se ne son presi la paternità 

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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Ho letto l'articolo immaginando che lo stesse raccontando Buffa (usa più o meno quei termini)
Bell'articolo
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Re: Le tattiche, #1 - L'invenzione del passaggio
Oddio, ho avuto la stessa identica impressione pur'io.The master of ROH ha scritto:Ho letto l'articolo immaginando che lo stesse raccontando Buffa (usa più o meno quei termini)
- Nicolasblaze
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Le tattiche, #2 - Play like an Egyptian: la Piramide
#2 - Play like an Egyptian: la Piramide
Il nostro cammino a rintracciare i primi scossoni nel modo di giocare a pallone ci porta di campetto in campetto, con un salto di sei anni in avanti rispetto al 1872 di cui abbiamo profusamente parlato. E forse, vedendo i protagonisti di questi racconti, è il caso di riscrivere la nozione comunemente affermata secondo cui "gli inglesi hanno inventato il football". Diciamo i britannici: perché la grande novità di cui parliamo oggi emerge in un posto un po' improbabile, in Galles sì ma per giunta a centosettanta chilometri da Cardiff.
Che millecinquecento persone si siano radunate ad Acton Park per la finale della prima Coppa del Galles sembra complesso: il campo fu ricavato da uno spiazzo in una tenuta signorile, signorilmente concessa da Sir Robert Cunliffe a causa dell'inagibilità del campo designato - il Racecourse di Wrexham, che sarà teatro di dodici finali di coppa prima della fine del secolo. Si sfidano - il 30 marzo del 1878 - due squadre che hanno faticato per arrivare ad Acton: il Wrexham (che gioca praticamente in casa ed è il più antico football club gallese) e i Druids di Ruabon, un villaggio vicino Wrexham - oggi duemilaquattrocento anime, nel 1878 non vi saprei dire. In particolare i Druids sono arrivati in finale giocando ben otto partite, di cui quattro ripetizioni di precedenti pareggi (contro Newtown, Newtown White Star due volte, e in semifinale contro il Bangor, che sembra un personaggio dei fumetti anni sessanta ma che in realtà è una delle principali squadre del calcio gallese - nel 1962, giusto per citarlo, a momenti non buttava fuori il Napoli dalla Coppa delle Coppe); in pratica l'unica sfida vinta in scioltezza è contro il Rhosllanerchrugog, che ho citato solo per dare quel pizzico di atmosfera gallese.
Ma, ahiloro, non sono i Druids (che non esistono più dal 1923 e dopo mille fusioni e cambiamenti sono oggi un team dilettantesco) al centro di questa storia. D'altronde la loro stella era il dottor Daniel Grey, dottore nel senso di medico, che dopo due sfortunate apparizioni con la nazionale gallese (0-4 e 0-9, entrambe contro la Scozia) passò a fare il medico sociale, che è meglio.
Parliamo invece di questi signori qui:

Il Wrexham si presentò con due carte vincenti: un innegabile gusto per le basette e il primo modulo codificato della storia del pallone. Quale sia l'eredità principale mi sembra ovvio, ma per forza di cose dovremo concentrarci sul modulo - mi dispiace, amici tricofili, sarà per un'altra volta.

Questa è la piramide del Wrexham: Edward Phennah tra i pali, protetto da Murless e Davies. Giocano tra le linee Davies, Cross (vale spendere una parola a parte su di lui) e Evans padre, mentre l'attacco è formato da Charles Edwards, James Davies, John Price, Lonham e Evans figlio - che gioca sulla stessa fascia del padre. La chiave del gioco era Edwin Cross, che nel pre-piramide faceva lo striker centrale ma qui era arretrato di una buona quarantina di metri: il primo centrocampista centrale della storia del calcio. E attorno a lui viene cucita la prima tattica di cui si ha notizia: Davies e Evans senior in fase di non possesso dovevano seguire le ali ("wingers", giocatori puramente offensivi molto prolifici in zona gol), il che porta i due dietro, Murless e Davies, a difendere in due contro tre (contando che un uomo se lo prende lo stesso Cross) anziché in due contro sei - mica male.
Gli esterni offensivi del Wrexham introducono un primo cambiamento nella concezione di winger: anziché puntare verso il gol il loro obiettivo primario era servire il centrale d'attacco - insomma, crossavano, parola che esiste dal 1865 riferita a vari sport.
Va notato che fino a molti anni dopo le ali continuarono a puntare la porta nel modo tradizionale: il più forte winger di quegli anni, Bill Meredith, uno dei calciatori di maggior successo della storia del Galles (tra 1894 e 1924 due scudetti in Inghilterra, due FA Cup, due Community Shield, 731 presenze e 171 gol tra Manchester City - di cui fu capitano - e United), giocava da punta pura, senza pensar tanto a 'sto fatto dei cross che ci confondo, ho la palla vedo la porta tiro, dov'è la difficoltà.
Per la cronaca, il Wrexham vinse 1-0 con gol in zona Cesarini (anacronismo gratuito, lo so) di James Davies. Ma non vinse la coppa, nel senso che il trofeo ancora non esisteva: i principali giocatori gallesi fecero una colletta in modo da avere una coppa per la stagione successiva.
Alla splendida invenzione della piramide mancava qualcosa: ricevere palla in corsa.
Stranamente, a nessuno venne in mente questa piccola - ma fondamentale - invenzione per altri venticinque anni.
Nella prossima puntata: Il triangolo dei tre diavoli (il centrocampo del Sunderland)
Il nostro cammino a rintracciare i primi scossoni nel modo di giocare a pallone ci porta di campetto in campetto, con un salto di sei anni in avanti rispetto al 1872 di cui abbiamo profusamente parlato. E forse, vedendo i protagonisti di questi racconti, è il caso di riscrivere la nozione comunemente affermata secondo cui "gli inglesi hanno inventato il football". Diciamo i britannici: perché la grande novità di cui parliamo oggi emerge in un posto un po' improbabile, in Galles sì ma per giunta a centosettanta chilometri da Cardiff.
Che millecinquecento persone si siano radunate ad Acton Park per la finale della prima Coppa del Galles sembra complesso: il campo fu ricavato da uno spiazzo in una tenuta signorile, signorilmente concessa da Sir Robert Cunliffe a causa dell'inagibilità del campo designato - il Racecourse di Wrexham, che sarà teatro di dodici finali di coppa prima della fine del secolo. Si sfidano - il 30 marzo del 1878 - due squadre che hanno faticato per arrivare ad Acton: il Wrexham (che gioca praticamente in casa ed è il più antico football club gallese) e i Druids di Ruabon, un villaggio vicino Wrexham - oggi duemilaquattrocento anime, nel 1878 non vi saprei dire. In particolare i Druids sono arrivati in finale giocando ben otto partite, di cui quattro ripetizioni di precedenti pareggi (contro Newtown, Newtown White Star due volte, e in semifinale contro il Bangor, che sembra un personaggio dei fumetti anni sessanta ma che in realtà è una delle principali squadre del calcio gallese - nel 1962, giusto per citarlo, a momenti non buttava fuori il Napoli dalla Coppa delle Coppe); in pratica l'unica sfida vinta in scioltezza è contro il Rhosllanerchrugog, che ho citato solo per dare quel pizzico di atmosfera gallese.
Ma, ahiloro, non sono i Druids (che non esistono più dal 1923 e dopo mille fusioni e cambiamenti sono oggi un team dilettantesco) al centro di questa storia. D'altronde la loro stella era il dottor Daniel Grey, dottore nel senso di medico, che dopo due sfortunate apparizioni con la nazionale gallese (0-4 e 0-9, entrambe contro la Scozia) passò a fare il medico sociale, che è meglio.
Parliamo invece di questi signori qui:

Il Wrexham si presentò con due carte vincenti: un innegabile gusto per le basette e il primo modulo codificato della storia del pallone. Quale sia l'eredità principale mi sembra ovvio, ma per forza di cose dovremo concentrarci sul modulo - mi dispiace, amici tricofili, sarà per un'altra volta.
Questa è la piramide del Wrexham: Edward Phennah tra i pali, protetto da Murless e Davies. Giocano tra le linee Davies, Cross (vale spendere una parola a parte su di lui) e Evans padre, mentre l'attacco è formato da Charles Edwards, James Davies, John Price, Lonham e Evans figlio - che gioca sulla stessa fascia del padre. La chiave del gioco era Edwin Cross, che nel pre-piramide faceva lo striker centrale ma qui era arretrato di una buona quarantina di metri: il primo centrocampista centrale della storia del calcio. E attorno a lui viene cucita la prima tattica di cui si ha notizia: Davies e Evans senior in fase di non possesso dovevano seguire le ali ("wingers", giocatori puramente offensivi molto prolifici in zona gol), il che porta i due dietro, Murless e Davies, a difendere in due contro tre (contando che un uomo se lo prende lo stesso Cross) anziché in due contro sei - mica male.
Gli esterni offensivi del Wrexham introducono un primo cambiamento nella concezione di winger: anziché puntare verso il gol il loro obiettivo primario era servire il centrale d'attacco - insomma, crossavano, parola che esiste dal 1865 riferita a vari sport.
Va notato che fino a molti anni dopo le ali continuarono a puntare la porta nel modo tradizionale: il più forte winger di quegli anni, Bill Meredith, uno dei calciatori di maggior successo della storia del Galles (tra 1894 e 1924 due scudetti in Inghilterra, due FA Cup, due Community Shield, 731 presenze e 171 gol tra Manchester City - di cui fu capitano - e United), giocava da punta pura, senza pensar tanto a 'sto fatto dei cross che ci confondo, ho la palla vedo la porta tiro, dov'è la difficoltà.
Per la cronaca, il Wrexham vinse 1-0 con gol in zona Cesarini (anacronismo gratuito, lo so) di James Davies. Ma non vinse la coppa, nel senso che il trofeo ancora non esisteva: i principali giocatori gallesi fecero una colletta in modo da avere una coppa per la stagione successiva.
Alla splendida invenzione della piramide mancava qualcosa: ricevere palla in corsa.
Stranamente, a nessuno venne in mente questa piccola - ma fondamentale - invenzione per altri venticinque anni.
Nella prossima puntata: Il triangolo dei tre diavoli (il centrocampo del Sunderland)
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Re: Le tattiche, #2 - Play like an Egyptian: la Piramide
Editoriale sempre su ottimi livelli,interessante leggere storie e spiegazioni sul calcio ai suoi inizi.
PS:Piccola curiosità,ma per alcune notizie ad esempio,prendi da libri o da internet?
PS:Piccola curiosità,ma per alcune notizie ad esempio,prendi da libri o da internet?