Discutevo di questo proprio l'altro giorno con un amico in privato. Vi è proprio alla base di Druckmann come designer una mancanza di padronanza nel combinare il medium utilizzato, il gioco, e la palese influenza che ha nella sua visione il cinema americano. Uncharted 4, che molti ritengono il migliore della serie, rappresenta per me l'esempio più lampante di questa discrepanza linguistica, dove il gioco non riesce a creare risonanza con i temi che il "film" vuole raccontare, creando de facto due sfere che non comunicano tra loro. Questo chiaramente non va a distruggere l'esperienza che ne consegue, dal momento che Unchy 4 rimane un prodotto di consumo ben realizzato, ma viene delegittimato di quell'autorialità artistica che Druckmann insegue.
Il primo The Last of Us invece trovo abbia un problema ancora più grave, che risiede nel proprio significante. Sul profilo narrativo non siamo di certo dinnanzi a un'opera di rottura come ho visto definita, vuoi perché si rifà a McCarthy senza smuovere troppo il paradigma della paternità post-moderna in chiave apocalittica, vuoi perché è stato anticipato da The Walking Dead che presenta diverse similutidini diegetiche; detto ciò, ritengo sia complessivamente una storia ben scritta, accompagnata da un confezionamento di alto livello per l'epoca. Ciò che per me lo rende solo un buon gioco ma ben lungi dall'essere una manifestazione artistica conclamata è che la narrativa segue una struttura cinematografica e non videoludica, senza però approfondire in maniera adeguata la koiné del cinema dal momento che Druckmann si rifà in maniera plateale a uno stile di regia mainstream yankee e non trova invece un proprio linguaggio personale.
Quindi alla fine mi rimane un'esperienza ludica prescindibile [dal canto perfino i fan più sfegatati hanno pesantemente ridimensionato TLoU1 sotto questo profilo oggigiorno] che non ha connessione con un impianto filmico che non ha grossa rilevanza al di fuori della propria nicchia trans-media. In pratica appunto un prodotto di consumo, la cui vera eccellenza è il confezionamento con effettivamente pochi rivali. Poi per carità, ci sono molti gamers che vorrebbero che il cinema si fondesse con il gioco anche sotto queste condizioni, ma io non la vedo una strada interessante né per uno né per l'altro, non senza una fusione dei linguaggi almeno.
TLoU2 cerca di scavare un poco nel linguaggio proponendo un impianto che porti il giocatore a empatizzare con l'ambiente circostante in modo da enfatizzare la violenza attraverso l'uso di cani che piagnucolano, umani che emettono versi di dolore lancinante, animazioni brutali e verosimili, ma trovo sia un tentativo debole perché deve far fronte all'enorme desensibilizzazione verso la violenza stessa.
Non metto in dubbio che vi siano persone che abbiano provato un po' di dispiacere nell'uccidere qualche nemico, io stesso ho avuto modo di discuterne con alcuni, tuttavia nella quasi totalità dei casi ciò non si tramuta nel ripudio della violenza ma in una sorta di culto nei confronti della realizzazione tecnologica di essa. "Wow guarda le animazioni delle armi" o "mai visto un gioco dove uccidere sembra così reale, incredibile" oppure "liberare le zone in questo gioco dà soddisfazioni". Tutto molto comune e perfettamente comprensibile visto che parliamo di un videogioco, tuttavia allo stesso tempo è anche un'opera che vuole creare un esorcismo della brutalità questo denota una superficialità della comunicazione, quindi appunto gioco che non sincronizza con il non-gioco, un significante che viaggia su una lunghezza d'onda diversa dal significato. Mi è stato fatto notare che il gioco propone spesso situazioni amorali che vogliono invece rafforzare questa filosofia, e non nego che ci provi, ma è un impianto che trovo piuttosto banale perché non vi è liberto arbitrio, sono binari che io utente sono costretto a percorrere e a cui devo obbedire, come posso sentirmi in colpa e metabolizzare un atto infame se tu, TLoU2, nemmeno mi dai la possibilità di poter decidere? La risposta è che non posso perché non è una scelta mia, è una scelta del personaggio che sto controllando, e quindi si crea una pesante disconnessione tra il PG vissuto da me e il PG vissuto da Druckmann. Non che sia necessariamente una tragedia avere una trama inflessibile, ma dal momento in cui avviene la disconnessione tutte le razionalizzazioni sull'empatia che posso provare verso i personaggi e i cani che ho ucciso vengono meno, perché non v è più contatto. Ellie/Abby sono entità fuori dal mio controllo e tutto ciò che posso fare è godere in maniera passiva della narrativa offerta, come in un film.
E qui si arriva alla conclusione di questo walltext che mi sto cagando il cazzo di riscrivere da capo: un film ha un proprio linguaggio, costruito sulla contemplazione dell'immagine partendo da un principio voyueristico ove il nostro sguardo è guidato dalla mano del regista; il videogioco ha un linguaggio dinamico dove noi utenti possiamo agire come ci pare nei limiti del codice informatico prescritto. Il linguaggio videoludico può nascere solo tramite il giocato, e se TLoU1 neanche ci provava ad averne uno, TLoU2 ci prova ma è schiavo dell'essere un gioco tripla A, legato quindi a necessità commerciali imperanti, meccaniche collaudate che privano di cimentarsi in sperimentazioni ardite, tuttavia è allo stesso tempo amato dal suo fandom perché il confezionamento che propone nel suo stesso gameplay è frutto di quel budget mastodontico. È un cane che si mangia la coda ed è per questo che non vedo potenziale artistico in TLoU2. Tutto ciò che potenzialmente può esserlo è relegato all'impianto filmico, che in tutta franchezza, può eccellere solo nella miseria dell'industria videoludica, nel momento in cui lo rapportiamo al cinema e lo paragoniamo ai grandi registi... vabbeh. A conti fatti, per la gioia del Pok, l'unico che sia riuscito a miscelare un impianto filmico a un linguaggio videoludico personale per ora è Kojima.
Dal momento che io inquadro l'arte come espressione della comunicazione, non posso ritenere in alcun modo The Last of Us 2 un'opera d'arte, purtroppo gli manca proprio il linguaggio che gli permette rifarlo. Detto questo forse ha ragione Carmelo Bene e l'arte è una puttana borghese, quindi vi rimane un gioco bello.