Re: Il Grandissimo Torneo Degli Utenti - TW New Era - 8°
Inviato: 15/01/2017, 18:46
Kanye West
In una combinazione molto più innaturale che nella pena di morte, in una mescolanza quasi spettrale, queste due specie di violenza sono presenti in un’altra istituzione dello Stato moderno: nella polizia. Essa è bensì un potere a fini giuridici (con potere di disporre), ma anche con la facoltà di stabilire essa stessa, entro vasti limiti, questi fini (potere di ordinare). L’aspetto ignominioso di questa autorità - che è avvertito da pochi solo perché le sue attribuzioni bastano di rado agli interventi più massicci, ma possono operare tanto più ciecamente nei settori più indifesi e contro le persone accorte da cui le leggi non proteggono lo Stato -, consiste in ciò che, in essa, è soppressa la divisione fra violenza che pone e violenza che conserva la legge. Se si esige dalla prima che mostri i suoi titoli nella vittoria, la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre nuovi fini. La polizia è emancipata da entrambe le condizioni. Essa è potere che pone - poiché la funzione specifica di quest’ultimo non è di promulgare le leggi, ma qualunque decreto emanato con forza di legge -, ed è potere che conserva il diritto, poiché si pone a disposizione di quegli scopi. L’affermazione che gli scopi del potere di polizia siano sempre identici o anche solo connessi a quelli del rimanente diritto, è profondamente falsa. Anzi, il «diritto» della polizia segna proprio il punto in cui lo Stato, vuoi per impotenza, vuoi per le connessioni immanenti di ogni ordinamento giuridico, non è più in grado di garantirsi - con l’ordinamento giuridico - gli scopi empirici che intende raggiungere a ogni costo. Perciò la polizia interviene, «per ragioni di sicurezza», in casi innumerevoli in cui non sussiste una chiara situazione giuridica, quando non accompagna il cittadino, come una vessazione brutale, senza alcun rapporto con fini giuridici, attraverso una vita regolata da ordinanze, o addirittura non lo sorveglia. A differenza del diritto, che riconosce nella «decisione» localmente o temporalmente determinata una categoria metafisica, con cui richiede e si presta alla critica, l’analisi della polizia non incontra nulla di sostanziale. Il suo potere è informe come la sua presenza spettrale, inafferrabile e diffusa per ogni dove, nella vita degli stati civilizzati. E benché la polizia, nei particolari, si somigli dovunque, non si può tuttavia fare a meno di riconoscere che il suo spirito è meno distruttivo dove essa incarna (nella monarchia assoluta) il potere del sovrano, in cui si congiunge la pienezza del potere legislativo ed esecutivo, che nelle democrazie, dove la sua presenza, non sollevata da un rapporto del genere, testimonia della massima degenerazione possibile della violenza.
In una combinazione molto più innaturale che nella pena di morte, in una mescolanza quasi spettrale, queste due specie di violenza sono presenti in un’altra istituzione dello Stato moderno: nella polizia. Essa è bensì un potere a fini giuridici (con potere di disporre), ma anche con la facoltà di stabilire essa stessa, entro vasti limiti, questi fini (potere di ordinare). L’aspetto ignominioso di questa autorità - che è avvertito da pochi solo perché le sue attribuzioni bastano di rado agli interventi più massicci, ma possono operare tanto più ciecamente nei settori più indifesi e contro le persone accorte da cui le leggi non proteggono lo Stato -, consiste in ciò che, in essa, è soppressa la divisione fra violenza che pone e violenza che conserva la legge. Se si esige dalla prima che mostri i suoi titoli nella vittoria, la seconda è soggetta alla limitazione di non doversi porre nuovi fini. La polizia è emancipata da entrambe le condizioni. Essa è potere che pone - poiché la funzione specifica di quest’ultimo non è di promulgare le leggi, ma qualunque decreto emanato con forza di legge -, ed è potere che conserva il diritto, poiché si pone a disposizione di quegli scopi. L’affermazione che gli scopi del potere di polizia siano sempre identici o anche solo connessi a quelli del rimanente diritto, è profondamente falsa. Anzi, il «diritto» della polizia segna proprio il punto in cui lo Stato, vuoi per impotenza, vuoi per le connessioni immanenti di ogni ordinamento giuridico, non è più in grado di garantirsi - con l’ordinamento giuridico - gli scopi empirici che intende raggiungere a ogni costo. Perciò la polizia interviene, «per ragioni di sicurezza», in casi innumerevoli in cui non sussiste una chiara situazione giuridica, quando non accompagna il cittadino, come una vessazione brutale, senza alcun rapporto con fini giuridici, attraverso una vita regolata da ordinanze, o addirittura non lo sorveglia. A differenza del diritto, che riconosce nella «decisione» localmente o temporalmente determinata una categoria metafisica, con cui richiede e si presta alla critica, l’analisi della polizia non incontra nulla di sostanziale. Il suo potere è informe come la sua presenza spettrale, inafferrabile e diffusa per ogni dove, nella vita degli stati civilizzati. E benché la polizia, nei particolari, si somigli dovunque, non si può tuttavia fare a meno di riconoscere che il suo spirito è meno distruttivo dove essa incarna (nella monarchia assoluta) il potere del sovrano, in cui si congiunge la pienezza del potere legislativo ed esecutivo, che nelle democrazie, dove la sua presenza, non sollevata da un rapporto del genere, testimonia della massima degenerazione possibile della violenza.