Uno ottimus testus per die

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TheKingEdoardo
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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Altro piccolo spoiler per lo giorno che arriverà: sarà Ariosto, ma non la culinaria spezia.
Ovviamente si accettano richieste dal popolo: un re deve saper ascoltare ogni voce.



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Colt877
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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da Colt877 »

TheKingEdoardo ha scritto:Altro piccolo spoiler per lo giorno che arriverà: sarà Ariosto, ma non la culinaria spezia.
Ovviamente si accettano richieste dal popolo: un re deve saper ascoltare ogni voce.
Se posso permettermi mio Re, potrebbe essere gradito qualche passo delle Satire sulla vita a Corte. Sicuramente i membri del suo Circolo più intimo lo troverebbero adeguato e di lettura interessante.

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TheKingEdoardo
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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Colt877 ha scritto: Se posso permettermi mio Re, potrebbe essere gradito qualche passo delle Satire sulla vita a Corte. Sicuramente i membri del suo Circolo più intimo lo troverebbero adeguato e di lettura interessante.
Terró conto dello suo suggerimento, Conte Colt. Lo giorno dopo lo giorno successivo a oggi pubblicheró le famose Satire.

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TheKingEdoardo
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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Ed eccoci ad ammirare uno frammento de lo sacro Orlando Furioso de lo Ludovico Ariosto.
Ho deciso, dall'alto della mia saggezza reale, di portarvi forse la parte più apprezzata del suo capolavoro: lo Astolfo sulla Luna.
Lascio parlar le auliche parole dell'Ariosto.

70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.

71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.

72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.

73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.

74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.

75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.

76
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch'eran le corone antiche
e degli Assiri e de la terra lida,
e de' Persi e de' Greci, che già furo
incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.

77
Ami d'oro e d'argento appresso vede
in una massa, ch'erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch'in laude dei signor si fanno.

78
Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
l'autorità ch'ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.

79
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che sì mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni l'opra:
poi vide bocce rotte di più sorti,
ch'era il servir de le misere corti.

80
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch'importe.
«L'elemosina è (dice) che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte.»
Di vari fiori ad un gran monte passa,
ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
che Costantino al buon Silvestro fece.

81
Vide gran copia di panie con visco,
ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l'occurrenze nostre:
sol la pazzia non v'è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.

82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli già avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n'era quivi un monte,
solo assai più che l'altre cose conte.

83
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.

84
E così tutte l'altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto più maravigliar lo fenno
molti ch'egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi dénno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantità n'era in quel loco.

85
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de' signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d'altro aprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n'era molto.

86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
lo scrittor de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma ch'uno error che fece poi, fu quello
ch'un'altra volta gli levò il cervello.

87
La più capace e piena ampolla, ov'era
il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
come stimò, con l'altre essendo a monte. [...]

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TheKingEdoardo
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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Seguendo lo consiglio del Conte Colt, ecco i primi L versi de la Satira III de lo Ludovico Ariosto.
Pungente, raffinato, cotesta satira dedicata a Messer Annibale soddisferà l'animo di tutti voi.
Come oramai di abitudine, lascio parlare lo testo.

Poi che, Annibale, intendere vuoi come
la fo col duca Alfonso, e s’io mi sento
più grave o men de le mutate some;

perché, s’anco di questo mi lamento,
5tu mi dirai c’ho il guidalesco rotto,
o ch’io son di natura un rozzon lento:

senza molto pensar, dirò di botto
che un peso e l’altro ugualmente mi spiace,
e fòra meglio a nessuno esser sotto.

10Dimmi or c’ho rotto il dosso e, se ’l ti piace,
dimmi ch’io sia una rózza, e dimmi peggio:
insomma esser non so se non verace.

Che s’al mio genitor, tosto che a Reggio
Daria mi partorì, facevo il giuoco
15che fe’ Saturno al suo ne l’alto seggio,

sì che di me sol fosse questo poco
ne lo qual dieci tra frati e serocchie
è bisognato che tutti abbian luoco,

la pazzia non avrei de le ranocchie
20fatta già mai, d’ir procacciando a cui
scoprirmi il capo e piegar le ginocchie.

Ma poi che figliolo unico non fui,
né mai fu troppo a’ miei Mercurio amico,
e viver son sforzato a spese altrui;

25meglio è s’appresso il Duca mi nutrico,
che andare a questo e a quel de l’umil volgo
accattandomi il pan come mendico.

So ben che dal parer dei più mi tolgo,
che ’l stare in corte stimano grandezza,
30ch’io pel contrario a servitù rivolgo.

Stiaci volentier dunque chi la apprezza;
fuor n’uscirò ben io, s’un dì il figliuolo
di Maia vorrà usarmi gentilezza.

Non si adatta una sella o un basto solo
35ad ogni dosso; ad un non par che l’abbia,
all’altro stringe e preme e gli dà duolo.

Mal può durar il rosignuolo in gabbia,
più vi sta il gardelino, e più il fanello;
la rondine in un dì vi mor di rabbia.

40Chi brama onor di sprone o di capello,
serva re, duca, cardinale o papa;
io no, che poco curo questo e quello.

In casa mia mi sa meglio una rapa
ch’io cuoca, e cotta s’un stecco me inforco
45e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,

che all’altrui mensa tordo, starna o porco
selvaggio; e così sotto una vil coltre,
come di seta o d’oro, ben mi corco.

E più mi piace di posar le poltre
50membra, che di vantarle che alli Sciti
sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.

Degli uomini son varii li appetiti:
a chi piace la chierca, a chi la spada,
a chi la patria, a chi li strani liti.

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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Spoiler per lo giorno venturo: entriamo nella modernità con il bravissimo Montale.

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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Ed eccoci qua. Questa mattina faccio svegliar lo mio Impero con le dolci parole di uno dei più grandi di tutti i tempi, lo Eugenio Montale.
Questa è per la mia opinione reale uno dei componimenti poetici più meravigliosi di sempre. Lascio parlare, come consueto, il poeta.

Forse un mattino andando in un'aria di vetro, dalla raccolta Ossi di Seppia, anno MCMXXII


Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto

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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Oggi voglio condividere con lo mio regno un componimento di un "poeta maledetto", il maestro Baudelaire.
Il re vi offre quello che lui considera come la poesia di amore più bella di sempre: La Morte degli Amanti.
Commentare questa meraviglia sarebbe dannoso, pertanto come sempre vi lascio al testo.

Avremo letti pieni di profumi leggeri,
divani profondi come tombe,
e sulle mensole fiori strani,
dischiusi per noi sotto cieli più belli.
A gara bruciando gli estremi ardori,
saranno i nostri cuori due grandi fiaccole,
specchianti le loro doppie luci
nei nostri spiriti, specchi gemelli.
Una sera fatta di rosa e di mistico azzurro,
ci scambieremo un unico bagliore,
come un lungo singhiozzo, grave d’addii;
e un Angelo più tardi, schiudendo le porte,
lieto e fedele verrà a ravvivare
gli specchi offuscati e le fiamme morte.

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Re: Uno ottimus testus per die

Messaggio da TheKingEdoardo »

Per i cieli! Stavo per dimenticare di condividere un testo con il mio Impero.
Rimedio subito con un dolcissimo testo per augurarvi un sonno dolce e sereno: Il Gelsomino Notturno di Pascoli.



E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento…

È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

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