Devixe ha scritto:Soverato

Che ne pensi del Nobel a Dario Fo?
Quella parte di Calabria mi è sempre sembrata Rio de Janeiro. Mare pazzesco, poi ti giri e vedi o favelas o palazzoni.
Non ho mai trovato Fo né arguto né divertente. Il teatro sociale, come si dice a Roma, m'arimbarza (mi rimbalza), già tollero a malapena il cinema sociale. Tuttavia non c'è dubbio che ci sia, nel suo linguaggio di sceneggiatura in particolare, un'immediatezza che colpisce lo spettatore, superando confini nazionali e culturali. Sono stati dati Nobel a scrittori molto più insignificanti, lo ritengo nella media dei vincitori. Non amo che sia considerato un guru, ma è parte dell'atteggiamento di pretesa superiorità culturale della sinistra italiana, non mi lamento neanche più.
The Barman ha scritto:La tua, a 360° su George Best e su Kurt Cobain.
(ovviamente quando ne hai tempo, visto che hai scritto di essere un po' impegnato

)
Verrebbe da dire: due uomini tormentati. Se non fosse che Best era l'equivalente di James Hunt (andate TUTTI a vedere Rush, fra parentesi), e uno dei migliori interpreti del suo ruolo nella storia; e Kurt Cobain una persona che non aveva un piano su come gestire la sua vita. Che se vogliamo è la perfetta parabola della generazione da cui il grunge deriva immediatamente - senza futuro e prospettive, e dunque in crisi in un mondo "al contrario", che ora accetta l'outcast e l'alternativo e, anzi, lo pone su un piedistallo/macchinadasoldi. Di Cobain in particolare non amo la visione del mondo, né il suo snobismo, né il suo moralismo. E' stato uno di quelli che, presumo involontariamente, ha fatto più male alla scena alternativa, contribuendo a costruire un atteggiamento "contro" a prescindere.
L'aneddoto che per me racchiude Cobain lo racconta Lonn Friend in Life on Planet Rock. I Nirvana (ai primi passi) vengono invitati nella redazione di questa rivista prestigiosa per poi fare un'intervista con Friend. Novoselic e Grohl allegri, gioviali, maturi abbastanza da ammettere i riferimenti non ironici anche alla musica commerciale (tipico dell'alternativo post-grungiano è dire "sì, ascolto Bon Jovi, ma ironicamente"); Cobain chiuso in un ostinato mutismo di fronte ad un'occasione promozionale fondamentale. Il motivo? Aveva visto, in redazione, una foto di Lonn Friend a chiappe al vento con i Metallica. E aveva deciso che non avrebbe parlato a quell'uomo.
Su Best: molte volte si dice "ah, chissà come avrebbe giocato X nel calcio di oggi" (o viceversa). Con Best non riesco e non voglio fare questo ragionamento, perché è stato gli anni che ha vissuto. Poi per carità, uomodimmerda all'ennesima potenza, però a noi che non lo abbiamo avuto vicino ha regalato solo gioie.
SaintJust ha scritto:
E' comprensibilissimo l'amore per il nord. Purtroppo, io non l'ho mai del tutto apprezzato, l'ho sempre trovato lontano dai linguaggi avanguardisti (nel senso più ampio del termine). Ecco, visto che parliamo di "nord" , uno dei pochi compositori che amo è Benjamin Britten (sia quello operistico che sinfonico), che solo per convenzione all'argomento cito (fuori dalle scuole progressiste post romantiche, Vienna e Francia). Ti piace lui?
Come mai l' interesse per la dodecafonia ed il serialismo (precisando che, anch'io sono molto interessato e non vedo l'ora di arrivarci con i miei studi)? Insomma, non che sia al giorno d'oggi così difficile da apprezzare, però è molto più semplice trovare uno che ti dice "mi bagno sentendo la Patetica di Tchaikovsky" che uno "piango ogni volta che sento il Sopravvissuto di Varsavia di Schoenberg". Hai una scuola che prediligi (Darmstadt, Parigi, l'Italia...)? Opere che preferisci?
Ti piace Adorno come filosofo/musicologo?
Colgo la palla al balzo: secondo te le opere ed i compositori post Webern hanno fatto riletture fin troppo ardite che, progressivamente, hanno segnato un demarcazione profonda con la musica popolare? E' stata una loro colpa che il messaggio musicale fosse ormai captabile solo a specialisti, o una semplice e naturale evoluzione?
La Wang mi è piaciuta abbastanza sentendola (naturalmente non dal vivo) con Abbado a Lucerna. Fin troppo pulita in certi punti (Concerto No. 3 di Prokofiev). Visto che si parla anche dell'Accademia di Santa Cecilia, ho letto che faranno "Il Prigioniero" di Dallapiccola (quante bestemmie per trovarlo su Soulseek). Andrai a sentirlo?
Domande a caso:
1) Qual'è la roba più fica di elettronica uscita di recente?
2) Valgono veramente la pena le colonne sonore di Atticus Ross?
3) Visto che l'anno scorso si parlava quasi solamente di loro: cosa ne pensi di Andy Stott, Raime (tralasciando il fatto che non sanno fare noise rock) e Demdike Stare?
4) Perchè il 2013 sta diventando l'anno del revival anni ottanta? (nella scena Mainstream, dai Daft Punk alla Monae)
5) Qual'è il genere simbolo, per ora, di questi '10?
Con ordine:
Sibelius: lontano dalle tensioni avanguardistiche e da linguaggi innovativi, direi vero. Il Nord Europa è tendenzialmente tradizionalista, ma è un tradizionalismo silvano e mitologico. Le prime cose di Sibelius che ho sentito sono quelle legate al Kalevala - ecco la common ground che mi consente il legame.
Non sono un esperto su Britten, lo ammetto candidamente. Ricordo con una certa chiarezza i suoi - interessanti e ingiustamente trascurati - rework di Purcell (di nuovo: common ground tra me e il compositore). Sull'Oxford Dictionary c'è scritto: "It is easy, because of the scope, stature, and sheer volume of the operas, and the wealth of vocal music of all kinds, to pay insufficient attention to the many works Britten wrote in other, specifically non-vocal genres." E questo è il mio livello di approfondimento: conosco Britten per le opere, e pochissimo altro. E' senza dubbio tra i più grandi compositori britannici che io ricordi, e il suo studio sulla musicalità della lingua inglese nel contesto operistico ha prodotto risultati eccellenti.
Come mai la dodecafonia? La premessa è che io detesto l'ambiente della musica classica italiano (in realtà ci sarebbe una premessa ulteriore, ma poi diventa la mia autobiografia, e sai che palle). Non so se sia ancora così, ma trovo che l'approccio da conservatorio abbia prodotto menti chiuse al limite dell'ottusità, e intrise di snobismo. Dunque, infantilmente (e infatti parlo di anni & anni fa), desideravo ascoltare qualcosa che li rendesse obsoleti. Sembra un atteggiamento immaturo, ma non è così lontano dalle argomentazioni dello stesso Adorno (che allora non conoscevo). Chiaramente poi si cresce, si scopre & apprezza il passato (ho cominciato a capire Bach molto dopo, e non potrò mai dire di capirlo del tutto), ma l'idea di - non direi rottura - elasticizzazione di convenzioni quasi millenarie è intrigantissima. Specialmente se i risultati non sono accademia, ma hanno quell'incredibile portata sensoriale ed emotiva di cui parli tu.
La cosa che mi ha sempre affascinato di "quelli di Darmstadt" (per i quali volge la mia preferenza, in particolar modo per Stockhausen), è la volontà di creare un nuovo set di convenzioni con spirito differente, ma non interamente dissimile rispetto a ciò che c'era ed era scritto nella pietra. Certo, la problematica di tutte queste scuole è la deriva verso l'integralismo, dal momento che una struttura di regole serve, fondamentalmente, a generare aspettative in chi ascolta - e la sorpresa nella lieve infrazione è uno degli strumenti più potenti.
[Ho incontrato una docente di composizione che squalifica totalmente Berio, definendolo un compositore mediocre. Per dire la maturità dell'approccio classicista.]
Sui lavori che prediligo...tra Stockhausen, Cage, lo stesso Bario, tangenzialmente Messiaen, Evangelisti e via dicendo, non si finisce più.
Adorno è una figura fondamentale e un punto di svolta per la "musicologia", termine che non amo per la sua vaghezza. Credo che la forza della visione estetica di Adorno sia innegabile e imprescindibile, così come lo sono i suoi limiti. Adorno ha rifiutato quasi a prescindere interi ambiti dello scibile musicale umano, commettendo grossolani errori di valutazione (fin troppo noti, nel senso che poi appena è morto c'è stata una congrega di avvoltoi pronta a spolparlo, cosa che ho sempre trovato antipatica). In compenso, ha rifiutato con forza ogni integralismo dodecafonico, nel senso che non desiderava dalla dodecafonia una nuova gabbia di numeri che costringessero la musica al minimo del suo potenziale. E fondamentale è la sua idea secondo cui non si può analizzare la musica come opera a sé, scollegata dal mondo circostante e dal messaggio incluso nell'opera stessa. La sua visione della società è molto ingenua, anche solo restando nel (presunto) postmarxismo ci sono autori molto più interessanti da quel punto di vista.
Non credo che si debba mai esser costretti a "volar basso", dal momento che ogni scelta di pubblico è egualmente valida. Esistono, oggi forse più di qualche anno fa, compositori estremamente pop che godono di successo e notorietà (gli Allevi di turno); ed esistono compositori "per specialisti", ma questo vale per molti ambiti sia della musica che dell'intrattenimento a tutto tondo e mi sembra normale. Credo però che, laddove l'arte figurativa nel Novecento ha avuto una tensione verso il "puro messaggio", dal momento che è l'esito di un percorso che parte dal 1849 in reazione all'Accademia (cioè pura forma, nella sua critica più estrema - che non condivido), le scuole compositive novecentesche abbiano in parte trascurato la lezione "contenutistica" adorniana, e abbiano fatto tanta splendida musica dicendo, alla fine, poco a livello di tematiche e contenuti. Scelta assolutamente difendibile, nel momento in cui tanta era la spinta innovativa da oscurare ogni altro messaggio & discorso (non che fossero assenti, è che passavano in secondo piano). Non ha fatto bene, piuttosto, l'opposizione di certe scuole (critiche e compositive) alla musica "per destinazione", cioè essenzialmente alle colonne sonore, che in gran parte conservano quell'immediatezza emotiva che il pubblico apprezza.
La mia stagione di concerti è sempre complessa, perché devo dare priorità alla musica leggera (non foss'altro che per esigenze di carriera). Se ne riparla ad aprile, insomma. Non m'ha mai convinto, comunque, affiancare Dallapiccola e Beethoven, però evidentemente ci sarà qualcosa che mi sfugge a livello di estetica, perché lo fanno spesso. Boh.
1) Di robe fighe fighe mi viene in mente Transverse di Carter Tutti Void, poi ci sono uscite piacevoli, dai The Knife ai Fuck Buttons ai Disclosure, ma nulla di epocale per ciò che posso vedere.
2) Se apprezzi il drone, è drone fatto bene - detto proprio nella maniera più diretta possibile. Non è ciò che ci si aspetta di solito da una colonna sonora, ma lavora benissimo unendo audio e video.
3) Andy Stott: ho sentito solo Luxury Problems e non mi ha convinto. Per carità, mica è un brutto disco, ma i soliti noti (non dico il nome del sito sennò mi accusano di essere ossessionato) hanno sparato quasi un 9, che mai nella vita. Mi è sembrato avere un sound troppo aspro, con pochissima dinamica e pochissima scorrevolezza. Allo stesso tempo, non è abbastanza secco per essere interessante. Apprezzo l'idea e la visione, ma la realizzazione mi sembra monca.
Raime: hanno fatto dei mix belli (quello per Fact con la selezione retrojungle e il Boiler Room di un'ora, che ho preferito a quello da 40 minuti). L'album rende solo a tratti la loro sensibilità & intelligenza, ci sono tracce con idee interessanti (tipo la seconda metà di Passed Over Trail) e altre al limite dell'insignificante. Li andrei a sentire come dj e non in concerto.
Demdike Stare non ho sentito quasi nulla, invece.
4) Perché l'indie rock ha fatto odiare i novanta, suppongo. E perché in mancanza di sostanziali breakthrough, si va sul sicuro, e gli ottanta sono LA sicurezza. E sono abbastanza lontani per poter essere considerati un'age d'or. Oltre alle riproposizioni palesi che citi (e che sopporto poco), hai anche una Lady Gaga che cita i Def Leppard, per dire; e in quei casi credo sia più una genuina riscoperta della "big melody", un po' sacrificata negli anni zero.
5) Se intendiamo generi già esistenti, direi che l'hip hop si sta di nuovo imponendo come linguaggio assoluto, sia a livello di comunicazione diretta che di spazio creativo. E il dancepop che si è ritrovato con un linguaggio aggressivo, fresco, efficace. Poi il folk (o presunto tale) è tornato mainstream, ma non so se essere felice; e in ambito metalloso si sta decidendo se il djent è la next big thing.
Se parliamo di generi nuovi, credo si debba attendere un attimo per vederne gli effetti - oltre che per stabilire cosa sia nuovo: per fare l'esempio più sputtanato, la dubstep è un fenomeno anni zero che "scoda" negli anni dieci, così come il trap (altra cosa che va forte adesso, all'interno dell'hip hop, o meglio andava forte fino a un paio di anni fa e ora nel mondo hip hop mi pare se ne siano un po' stancati, in compenso Diplo ci si è fomentato, buon per lui).