Nota: potrebbero esserci
spoiler. Anzi, ce ne sono.
Sono andato con l'idea di non fondo di non aspettarmi "Le Iene" e "Basterds". Dopo la visione ho letto alternatamente di pareri estatici e delusioni alla "per me è una cagata pazzesca". Oltre a, comprensibilmente, osservazioni sulla lunghezza e sulla distensione dei tempi narrativi - che però c'è da premettere sarebbero il marchio di fabbrica di Tarantino - ce ne sono diverse, a mio avviso incomprensibili, sulla cupezza e sulla violenza: temo che non abbiano colto esattamente dove volesse andare a parare il film e siano, prodotti naturali di ogni film da analizzare al microscopio di un cineasta navigato, figlie di mancate riflessioni a freddo. Le stesse che trent'anni fa reputavano "Toro Scatenato" un film tra lo scadente e il barocco perché il sangue grondava a fiumi durante le scene di boxe. Qui il contesto è preso in prestito dal western, ci sono le pistole, ci sono solo i brutti e i cattivi (tutti con le pistole), che peraltro non si sfiorano per 3/4 di film - l'altra metà delle critiche dice, appunto, "che palle, 'sti qui non si ammazzano prima di 3/4 di film"-, ma certa gente sembra voler vedere rose e confetti quando due si trivellano con una calibro .22.
Bah e ri-bah.
Su considerazioni più serie, io l'ho trovato un prodotto magnifico nella dimensione che si è volutamente scelto e per il manifesto intento comunicatorio: nichilista, viscerale, grottesco, senza speranza e con diverse allegorie interessanti. Più in generale, un lungo, straziante e claustrofobico "discorso intorno al male e all'odio" che consuma l'individuo, anzi, che consuma
gli individui verso un percorso di autodeflagrazione che non lascia superstiti.
L'ho trovato più riuscito del - perlopiù lineare - Django nella sua quest, lo stesso Django che però crolla sotto il peso del suo comparto citazionistico dilungandosi in un finale ben oltre il climax narrativo. Questo è il figlio di un'orgia tra le Iene (nel setting), Pulp Fiction (nella diacronicità), Django e "Sette Piccoli Indiani" (nelle tematiche, quelle di Django espanse a macchia "universale" sull'umanità e portate dunque al parossismo).
È lento, macchinoso e cerca di appellarsi a fan di vecchia data di Tarantino - più precisamente, quelli che ne venerano incondizionatamente alcuni aspetti di cineasta - spettatori cervellotici, ripudiando l'occasionale spettatore.
In ogni caso, queste sono osservazioni generali: tutti i temi sono affrontati in maniera intellettualmente stimolante. Il tema della violenza, del confine tra giustizia e vendetta privata (Samuel L. Jackson e Walton Goggins diventano i boia alla fine: siamo sicuri che è ancora giustizia?), la mancanza di un protagonista che susciti vera simpatia nello spettatore, il limite (o la facciata) dell'ideale/bugia atto a salvare [le apparenze/ l'anima] in un mondo arido che spinge alla mercificazione di uomini diventati bestie (quasi tutti si muovono per i soldi); anche gli unici spinti dagli affetti (la banda di criminali, oh, a tal proposito assolutamente spettacolare quando il personaggio del solito ambivalente Roth - fino a quel punto, ma anche dopo, un bieco assassino - vuole lasciare come pagamento il proprio corpo per salvare la capobanda: l'unico momento puramente eroico del film lo crea uno dei cattivi) non sono che nella prospettiva più ampia solo altre bestie disposte a fagocitare altri innocenti.
Consigliato.