5 Star Frog Splash #225 – Captain American Nightmare

Per qualche motivo, sono sempre stato un grosso fan di Captain America. Uno dei più famosi eroi della Marvel, nonché uno dei suoi maggiori “babyface”. “Ma la Marvel è piena di babyface, crea supereroi!”, penserà qualcuno. Vero, ma è anche vero che ciò in cui la Marvel eccelle, e ciò che probabilmente ne decreta il suo grande successo, è che non sono tutti eroi duri e puri. Basti pensare a Iron Man, amatissimo dal pubblico perché è chiaramente l’Eddie Guerrero della Marvel, che fa un po’ quello che gli pare. O a Punisher, che pur essendo un “eroe” non si ferma davanti a niente e nessuno per ottenere ciò che vuole. O a Gambit (un altro dei miei grandi favoriti, ironicamente) che era un ladro prima di diventare un eroe.


Captain America no. Captain America sembra non avere un punto debole, una pecca caratteriale, una falla che possa svelare un suo lato oscuro. Per assurdo, questo è proprio il motivo per cui a molti Captain America non piace. Perché l’essere troppo buoni è noioso, irrealistico, scontato. E spesso dà vita a character piatti e monotoni. Vedi alla voce John Cena, che proprio per tutti questi motivi ha vissuto per la stragrande maggioranza della sua carriera un dualismo di cori e fischi. Perché “tanto vince sempre”, perché “fa quattro mosse e basta”, perché “fa sempre le stesse cose”. Piatto, noioso, scontato. Tuttavia, se dovessi fare un paragone tra Captain America e un wrestler della WWE, paradossalmente, non sceglierei John Cena.

Sceglierei Cody Rhodes. Perché il dualismo tra lui e il suo gemello della Marvel (tanto che si somigliano anche fisicamente) mi sembra quantopiù evidente. Entrambi hanno la bandiera americana come capo principale del proprio guardaroba, tanto per cominciare. Captain America da sempre, in Cody Rhodes questa caratteristica è diventata più preminente solo in WWE che in queste cose ci sguazza da sempre e che non poteva proprio evitare di farlo anche stavolta con un wrestler il cui nickname è “American Nightmare”. Poco importa che il soprannome sia nato ai tempi della militanza di Cody nel Bullet Club come tributo/contrapposizione a suo padre, l’American Dream Dusty Rhodes.

Anche le origini dei due, piuttosto ironicamente, sono in qualche modo simili. Steve Rogers era un giovane fragile e malaticcio dai grandi ideali, che trovano però una realizzazione solo quando si offre come cavia per il Siero del Supersoldato, che dota alla sua mente brillante e acuta un corpo atletico e potente. Il Siero del Supersoldato di Cody Rhodes è stata la sua militanza nelle indies, l’essere riuscito ad avere successo dovunque sia andato (tranne, paradossalmente, nella compagnia che ha contribuito a creare). Quello che lo ha trasformato dal midcarder su cui nessuno puntava e che era stato rinchiuso in Stardust, nel main eventer che era già quando è tornato in WWE.

Ma non è la somiglianza fisica, quella nel vestiario o le origini simili a colpirmi di più nel paragonare Cody Rhodes e Captain America. È che entrambi rendono trecento volte meglio quando sono al centro di una storia ben scritta che dia loro la possibilità di splendere. Che li metta in discussione, e che così facendo li faccia crescere. Sia come personaggi, sia nella considerazione di coloro che assistono alle loro vicende. È il motivo per cui a volte Cap non è visto di buon occhio dai fan. Perché è il tirapiedi del governo, perché è un simbolo insulso, perché è il cavaliere senza macchia e senza paura, perché è infallibile. Quantomeno in superficie.

È solo quando si esplora meglio la storia di Captain America che si riesce a cogliere al meglio la sua essenza. Come si sia posto lui stesso la problematica di essere il simbolo di un governo con cui lui stesso si è trovato più volte ai ferri corti. Tanto da dismettere lui stesso l’uniforme e diventare un “Nomad”, un senza patria. Ritrova la propria identità solo quando capisce che lui non rappresenta il governo americano ma gli ideali del paese, di coloro che quel paese lo vivono. Eppure successivamente rinuncia ancora una volta al ruolo quando non si sente all’altezza, quando pensa che qualcun altro possa essere più utile di lui in quella veste.

Sono quelle le storie in cui Cap, in cui Steve Rogers rende al meglio. Quelle che dimostrano come lui non sia un burattino del governo, uno yes man, un simbolo antidiluviano. Quelle che lo spingono a mettere in discussione se stesso, quello che rappresenta, i valori che lo spingono a continuare a lottare. E quelle che inevitabilmente fanno più clamore, come il putiferio che si scatenò nel 2016 quando nella nuova serie che lo vedeva protagonista Cap sembrava giurare fedeltà all’Hydra (salvo poi, spoiler, scoprire successivamente che era stato condizionato mentalmente a pensare di essere un agente dell’Hydra quando in realtà non lo era).

Captain America con la celebre frase giura lealtà all’Hydra, gettando l’universo Marvel nel caos.

Cody Rhodes, per certi versi, è uguale. Quelli che mi leggono/sentono regolarmente mi avranno già sentito raccontare questa cosa ottocento volte e penseranno che sono un disco rotto, ma c’è un momento che mi convinse che Cody Rhodes aveva il potenziale per diventare una stella in WWE. Ironicamente, contro Roman Reigns. E Seth Rollins. E Dean Ambrose. Dieci anni fa di questi tempi, a Battleground, quando c’era tutto in palio, ovvero la sua carriera e quella di suo fratello Goldust in caso di sconfitta. Cody Rhodes tirò fuori nel backstage un promo che eclissò sia quello del padre Dusty, che li accompagnava in quel match, sia quello di Goldust. E fu proprio lui a sancire la parola fine a quel match, con una Cross Rhodes (una, non tre), che mi dà i brividi ogni volta che la vedo.

Questo perché Cody si ciba di storia, emozioni, atmosfera. Insomma, tutto quello che gli è mancato praticamente da quando è tornato in WWE a gennaio. E non per suo demerito eh, non gliene faccio una colpa. La colpa è averlo fatto precipitare a finire una storia che non era nemmeno cominciata. C’era ancora tutto da narrare, tutto da raccontare. Perché vincere tre match contro Seth Rollins sei mesi prima e una Royal Rumble entrando col numero 30 ed eliminando uno che era entrato col numero 2 e aveva esattamente zero chance di vittoria non costituiscono proprio il curriculum di colui che andrà a battere un “campione” che tiene in ostaggio un titolo da quasi tre anni a Wrestlemania.

E infatti se n’è accorta anche la WWE, in uno di quei classici dietrofront di cui si è resa protagonista in un buon numero di main event di Wrestlemania dell’ultimo decennio. Come Reigns che sembrava avviato alla consacrazione (solo nella mente dei dirigenti WWE) a Wrestlemania 31, salvo poi ricorrere a Seth Rollins per evitare di finire un main event di Wrestlemania tra i fischi. Come a Wrestlemania 34, quando Reigns si trovava di fronte (di nuovo) la nemesi Brock Lesnar e sembrava (di nuovo) pronto alla consacrazione, salvo poi perdere (di nuovo) in modo completamente anticlimatico.

A Wrestlemania 39 è toccato a Cody Rhodes. Ma evidentemente i dirigenti WWE devono essersi conto che si erano messi in una situazione senza via d’uscita con Cody e che era decisamente troppo presto per fargli vincere il titolo. E allora che facciamo? Facciamolo perdere come un idiota, altro che Finish The Story. Tanto c’è sempre tempo dopo, no? Il problema è che così hanno ficcato Cody in una situazione ancora più senza via d’uscita, con il Finish The Story rimasto appeso a un filo sottilissimo e il significato di tutto il suo percorso in WWE da quando è tornato completamente inconcludente.

E poi mica Roman Reigns può perdere in un palcoscenico qualunque, tipo a Backlash no? Bisogna aspettare quantomeno Summerslam. E se gestire Reigns è facilissimo, basta fargli fare il campione da divano che è stato nell’ultimo anno e andare a Night of Champions a lottare per i titoli di coppia (LOL), gestire uno che fa parte del roster regolare è un pelo più complicato. E allora via di faida inutile, inconcludente e senza alcun senso con Brock Lesnar. Per motivazioni che ci devono ancora essere spiegate e sulle quali si interroga lo stesso Cody, che però nel frattempo tanto per cambiare sta feudando da solo.

La WWE sta sbagliando tutto con Cody Rhodes. Non lo sta facendo crescere e sta dando ai fan tutte le motivazioni per smettere di tifarlo, facendolo comportare esattamente nel modo che odiano tutti quelli a cui non piace Captain America. Facendolo comportare esattamente nel modo in cui ha smesso di essere appoggiato all’unanimità in AEW. In un modo forzoso e forzato. Sfornando promo ripetitivi. Facendogli dire cose come “Brock Lesnar è meglio del 99,9% del roster” o “Questa è la battaglia per stabilire chi è la cosa più grande a Raw”. Con buona pace del prossimo detentore del World Heavyweight Title, partito dall’inizio con l’essere un titolo di serie B e già avviato a diventare un titolo di serie C.

La WWE ha una chance di redenzione con Cody, che per quanto mi riguarda è solo una. Innanzitutto farlo comportare in modo più naturale e non forzoso. E poi farlo tornare ad affrontare Roman Reigns il prima possibile. Ma non subendo per tutto il match e poi chiudendo la sua sfilza insignificante di Cross Rhodes, no. Deve smantellarlo pezzo per pezzo e strappare dal suo corpo esanime l’Undisputed WWE Universal Title. Senza interferenze, senza Usos, senza Solo l’inutile.

Il modo c’è: valigetta del Money in the Bank (che forse per un anno cesserebbe di essere completamente irrilevante) e match a Summerslam. E così almeno avremmo un campione degno in quel di SmackDown. Mentre a Raw Seth Rollins (o AJ Styles?) dovrà come al solito dare credibilità prima a se stesso e poi a quel titolo di serie C che gli metteranno alla vita, mentre Kevin Owens e Sami Zayn torneranno a combattere per avere un po’ di visibilità quando a breve non saranno più contrapposti all’unica cosa di cui importi minimamente ai dirigenti WWE, ovvero la Bloodline.

Lorenzo Pierleoni
Lorenzo Pierleonihttps://www.tuttowrestling.com/
Dicono che sia il vicedirettore di Tuttowrestling.com ma non ci crede tanto nemmeno lui, figuriamoci gli altri. Scrive da otto anni il 5 Star Frog Splash, per un totale di oltre 200 numeri. Cosa gli abbiano fatto di male gli utenti di TW per punirli così è ancora ignoto. A marzo 2020 si ritrova senza niente da fare, inizia un podcast e lo chiama The Whole Damn Show. Così, de botto, senza senso.
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