AEW Planet #51 – Cosa ci ha lasciato Revolution 2022

AEW Revolution 2022 è stato un successo sotto tanti punti di vista. Per quanto le cinture siano rimaste nelle mani dei rispettivi campioni, abbiamo avuto davvero una gran quantità di elementi degni di nota. Forse è mancato quell’elemento indimenticabile for the ages, ma sotto l’aspetto qualitativo l’evento non sfigura di fronte ai mostri sacri All Out ’21 e Full Gear ’21. A colpire principalmente il sottoscritto sono stati due fattori: l’evoluzione narrativa della AEW e l’attenzione ai dettagli. Ed è su questo che mi vorrei concentrare in questo numero del Planet, lasciando all’ottimo Marco Ghironi la penna rossa per le pagelle.


NARRAZIONE IN ED EXTRA RING

Il miglioramento in quel di Jacksonville dal punto di vista dello storytelling è a dir poco clamoroso. Si è sempre parlato della AEW come la federazione del lottato, degli spottoni, dei superkick inflazionati. Ma senza un filo conduttore in termini di storia che rendesse organici quei momenti nel match. Poco selling, poca interpretazione, ricerca dell’elemento spettacolare solo e unicamente nell’esecuzione tecnica delle mosse. Eppure dall’arrivo di CM Punk e Bryan Danielson, il cambio di passo si è visto eccome e Revolution in tal senso ha fornito un’ulteriore incredibile risposta.

Il match tra MJF e CM Punk è un assoluto capolavoro. La perfetta conclusione a un’intera faida di cui ci ricorderemo anche negli anni a venire. Il finale, per quanto discutibile come idea di base, ci ha proposto una storia coerente, collegata, interconnessa con Wardlow. Lo stesso dicasi per Kingston e Jericho, semplicemente strepitosi nel portare in ring una faida costruita sostanzialmente su poche settimane di promo. Kingston che chiama fuori il meglio che Jericho possa offrire, Le Champion che sfodera una forma fisica ottima (e invidiabile!), che usa tutto il suo arsenale, consentito e non.

Eppure perde, con Kingston che non ci crede perché finora aveva sempre lasciato Win per strada nei match importanti. Che era ciò che Jericho gli aveva imputato, negandogli alla fine anche il gesto di rispetto. Una cosa che personalmente ho apprezzato poco, perché Kingston meritava un successo goduto appieno. Ma che pur tuttavia è funzionale allo sviluppo del turn heel di Chris Jericho con la formazione di una nuova stable. E finalmente abbiamo faide che continuano, lasciando ai semi il tempo di germogliare per far uscire dei fiori pienamente sbocciati.

La dimostrazione, una volta di più, che il wrestling non può fare a meno di storie. Perché è da questo che passa il meccanismo di identificazione dello spettatore con un personaggio. Ed è da questo che poi il lottato diventa uno strumento necessario e imprescindibile di valorizzazione. Prendiamo Moxley vs Danielson, probabilmente tecnicamente è stato il miglior match della serata, eppure il pubblico era in silenzio. E anche qui, la narrazione in ring è stata ottima, un match da sangue che di sangue ha parlato, che ha mescolato diversi stili e fatto vedere quanto entrambi fossero pronti a dare testa (nel verso senso della parola) e corpo per sottomettere l’avversario.

Ma è una storia ancora in divenire, che per ora riguarda più loro due che lo spettatore, peraltro probabilmente anche stanco, dopo tutta la serie di match precedenti. Non a caso, l’esplosione c’è stata quando è arrivato Regal a inserire un elemento narrativo. Ecco, arriva il mentore, vuol dire che. E quindi io penso, contestualizzo, metto in fila le idee e rivaluto il match dicendomi “ecco, si sono presi a mazzate in questo modo come due galli nel pollaio e ora arriva chi mette ordine”. E che trova un seguito nei promo di Dynamite, in cui Regal trova le connessioni con entrambi, che a loro volta combattono in tag. Un mattoncino dopo l’altro la storia si compone e quando i tre elementi fondamentali sono connessi (storyline, in ring performance, pubblico), anche sbavature o altro rimangono contestualizzate e contestualizzabili.

ATTENZIONE AI DETTAGLI

E parlando di mattoncini, facevo menzione su quanto importante sia l’attenzione verso i dettagli. Dalle entrate agli omaggi, in AEW non manca mai una grande ricerca alla base di ogni costruzione dei match. MJF e Punk sono sempre i capofila in tal senso, con il Best in the World (and you know it!) che rispolvera look and feel from ROH, mettendo per una volta da parte Cult of Personality. Un messaggio potente, emozionante, incredibile, a maggior ragione a valle dell’annuncio di Tony Khan circa l’acquisizione della ROH.

Si parla di storia del wrestling, dei primi passi che molte delle attuali superstar AEW (e non) hanno mosso e di quelli che altrettante superstar più giovani (l’MJF di turno) hanno guardato con gli occhi pieni di ammirazione. Oltre alla musica, anche il suo ring attire richiamava l’altro Dog Collar Match della sua carriera, avvenuto a ROH Death Before Dishonor 2003 contro Raven. Il feud con MJF ha esibito sulla pubblica piazza l’intera vita del CM Punk wrestler. Dagli inizi ai giorni nostri, ed è stato estremamente toccante il modo in cui si sia deciso di chiudere il cerchio.

Una modalità che tuttavia il fan occasionale non ha colto. Ne sono seguite polemiche sui canali social e discussioni varie ed eventuali: dico la mia, la cura del dettaglio non è mai un errore. Mai. Anche quando questo ti porta a creare elementi sovrabbondanti. L’impegno e la voglia di costruire a partire dal passato, di omaggiare chi è diventato un gigante prima che tu potessi abbarbicarti sulle sue spalle. E grazie alla cui grandezza noi che ora cresciamo possiamo guardare ancora più in là, un orizzonte più lontano.

Mi ripeto, ben venga l’elemento in più di quello pigramente lasciato nel cassetto. Veniamo da Elimination Chamber con Austin Theory che si becca un F5, da BRRRRRRROCK LLLLLLLLESNAR dalla cima del box, che si sfracella sul pavimento della struttura e un paio di giorni dopo è bello sorridente, fresco e riposato. Che si fa i selfie senza nemmeno un cerotto o un bendaggio. Dopo aver subito una mossa letale, da un performer letale, in un modo ancora più letale del solito (in “theorya”). Assistiamo a turn heel completamente a caso, giusto per creare effetto sorpresa, a match in cui manca totalmente l’elemento del selling (anche a Revolution ne abbiamo visti parecchi esempi).

In quest’ottica, vedere un wrestler amare il proprio vissuto, omaggiare i capisaldi della propria formazione (Bret Hart, Harley Race, Roddy Piper…), per me, è una cosa estremamente emozionante. Si tratta, a modo suo, di fare della vera e propria wrestling culture. E se il risultato finale è questo, è questo match, questo PPV, questo MJF… che dire, godiamocelo. Apprezziamolo. Impariamolo. Valà. Because they’re better than us. And we know it!

Andrea Samele
Andrea Samele
Laureato in filosofia, amante della creatività, della scrittura e del suono musicale di una chop. Appassionato di wrestling di lunga data per la capacità di creare personaggi e storyline in grado di coinvolgere gli spettatori. Per Tuttowrestling.com curo l'AEW Planet.
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